A leggere questo titolo sembrerebbe di affacciarsi alla bocca dell’inferno. E invece Triora è un piccolo amabile borgo dell’estremo Ponente Ligure lontanissimo dal mare, in cima alla Valle Argentina. In esso si è scritto un capitolo di storia purtroppo esecrabile, ma il borgo è molto di più. Vi invitiamo a visitarlo.
Partendo da Bordighera potete scegliere di accorciare i tempi (ma neanche poi così tanto) prendendo l’autostrada con uscita ad Arma di Taggia; in alternativa potete viaggiare sull’Aurelia, arrivare ad Arma di Taggia e da qui seguire le indicazioni per Triora, seguendo la bellissima strada che risale il torrente Argentina fino a Molini di Triora. Da qui si sale ulteriormente, per altri 7 km, e infine si arriva in questo borgo lontano, isolato. E forse è per questo che la sua storia è così peculiare.
Piccolo inciso: risalendo la Valle Argentina, stretta e verde valle che è paesaggisticamente notevole, incontrerete diversi punti di interesse nei quali eventualmente fermarvi: primi tra tutti Badalucco e il vicino Montalto Ligure. Ma torniamo a noi. Oggi andiamo a Triora.

Triora, Genova e le Streghe
Per la sua posizione geografica, Triora nel corso del medioevo e dell’età moderna – finché è esistita la Repubblica di Genova – è stata un baluardo della Superba contro ogni eventuale assalto proveniente dalle montagne piemontesi e francesi. A controllo del territorio, montano, costellato di altri piccolissimi borghi satellite, è il castello, le cui rovine ancora dominano dall’alto il panorama.

In realtà il territorio è frequentato fin dall’epoca preistorica, come tutto questo settore della montagna ligure. Tuttavia, la storia che a noi interessa è molto più recente. Risale al XVI secolo, quando Triora era, appunto, il borgo montano tanto caro a Genova. Proprio da qui, in piena Controriforma, si cominciarono a diffondere voci strane, che parlavano di donne che si riunivano tutte insieme in un luogo del borgo, chiamato Cabotina, e che lì compievano i loro riti. E poi queste donne erano guaritrici, usavano unguenti e formule, erbe e decotti, e poi insomma le persone effettivamente guarivano invece che affidarsi alle preghiere e a Dio. In sostanza, l’Inquisizione di Genova si accorse di queste donne, di queste abitanti di Triora che portavano avanti tradizioni secolari di medicamenti e unguenti. La mano dell’Inquisizione di Genova fu implacabile. Furono messe a processo tantissime donne, dapprima torturate, poi condannate a morte. Donne la cui colpa era quella di saper usare le erbe giuste per il male giusto. Donne le cui competenze erboristiche non erano riconosciute come mediche, ma come stregonesche. Assurdo. Fu una vera e propria strage di donne innocenti le quali sotto tortura condannavano altre donne altrettanto innocenti sperando di aver salva la vita, ma invano. Finalmente, dopo tante morti assurde, qualcuno da Genova si rese conto che forse l’inquisitore aveva esagerato e fece finire questo orrore.

Oggi, racconta questa vicenda e restituisce dignità a quelle donne ingiustamente uccise, il Museo Etnostorico della Stregoneria di Triora, che ha l’ingrato compito di raccontare storicamente ciò che avvenne. La verità è che proprio le Streghe sono il motivo per cui Triora è nota anche al di fuori della Liguria. Ci vogliamo vedere – e così è – una qualche forma di risarcimento, perché queste donne inutilmente e crudelmente uccise, delle quali spesso non conosciamo il nome, oggi hanno la loro rivincita. Poi, certo, quello delle Streghe è un tema che ben si presta per eventi anche turistici e feste, come Halloween per dire la principale.
Ma ora basta streghe. A Triora c’è di più. Visitiamo il borgo.
Triora, un borgo di pietra
Entrando nel paese di Triora, dopo aver parcheggiato nel vicino parcheggio fuori dal centro abitato, si è catapultati subito in un borgo medievale fatto di pietra. Lo schema è sempre lo stesso: edifici alti e stretti, vicoli – caruggi – stretti e alti, di tanto in tanto raccordati da archi e talvolta chiusi da gallerie. Sono gli svincoli dai quali si può decidere di andare nella piazza della chiesa (barocca in un paese medievalissimo) o nella parte bassa – o alta – del borgo. Di tanto in tanto appare la roccia viva sulla quale letteralmente appoggiano gli edifici: magia? No, non è opera da streghe, ma di bravissime maestranze che avevano conoscenze in materia di costruzioni che oggi possono lasciare basito chi non se ne intende.

Tra murales sulle porte che richiamano il mondo della stregoneria in maniera leggera ed evocativa, e portali in ardesia (le cui cave sono nelle montagne qua intorno) sui quali sono raffigurati temi religiosi quali l’Annunciazione, il borgo di Triora rivela la sua più autentica anima di borgo ligure dell’estremo entroterra, arroccato, avvolto intorno al suo cucuzzolo fino a salire al castello, di cui oggi rimane ben poco, ma che doveva essere un punto di riferimento territoriale notevole nel panorama medievale e fino al Settecento. Del castello si conserva una torre e poco altro, comunque l’insieme è monumentale e molto suggestivo. Ancora di più da quando ospita un gatto. Un gatto enorme.
Il Gatto di Triora
Il binomio “gatto (nero) – stregoneria” è vecchio quanto il mondo e non sapremmo neanche dire quando si è originato. Fatto sta che il gatto nero (che già di per sé, non si sa per quale assurdo motivo, si dice porti sfortuna), è stato perseguitato tanto quanto le streghe. Chi come noi viaggia oggi tra i 40 e i 50 anni conosce quasi sicuramente le storie di “Gobbolino il gatto della strega”: un gatto nero ma con la zampina bianca che voleva essere buono e non voleva sottostare agli ordini della sua padrona strega (cattiva).

Quella di Gobbolino è una favola, ma il legame tra gatto e stregoneria è abbastanza trasversale, al punto che da qualche anno a Triora, accanto al Castello, si erge la gigantesca statua di un gatto che, nonostante le sue enormi proporzioni, porge la zampina ai viandanti, quasi a volersi riconciliare. Il Gatto di Triora è una statua in bronzo, voluta dal Triora Project, che punta a sensibilizzare sul tema della protezione degli animali in qualche modo ingiustamente perseguitati perché ritenuti portatori di sventura (i gatti neri da noi – spero non più -, ma altri animali sicuramente in altre società). Il gatto di Triora è il modo per parlare della persecuzione stupida, ingiustificata e ignobile delle “streghe” (cioè di donne temute perché libere e depositarie di saperi preclusi agli uomini) e per allargare lo sguardo in ottica contemporanea a tutti gli esseri viventi in qualche modo perseguitati e perseguiti.
Triora e i dannati. Per il tramite di San Bernardo
Concludiamo questo giro di Triora con una chiesina piccola piccola, fuori dal paese. Una chiesa intitolata a San Bernardino, cioè San Bernardo che sappiamo, da più fonti, aver attraversato e variamente catechizzato l’entroterra dell’estremo Ponente Ligure. Insomma, questo Santo percorse in lungo e in largo queste terre e ovunque il suo passaggio e soprattutto l’effetto delle sue predicazioni si fece sentire, perché nell’entroterra si incontrano diverse chiese e cappelle a lui dedicate in cui – ohibò – ritorna sempre lo stesso tema nelle sue infinite variazioni: la cavalcata dei dannati verso l’Inferno e in generale il Giudizio Universale. Tema complesso, macabro e che quindi consentiva al pittore di turno di sbizzarrirsi. Più le scene dei dannati erano truci e spaventevoli più il pittore era stato bravo. E, dobbiamo dire, il pittore della Chiesa di San Bernardino a Triora è stato particolarmente bravo.

La scena di Giudizio Universale, e della rappresentazione dell’inferno con tutte le pene per i vizi capitali raffigurate con dovizia di particolari, occupa l’intera parete destra della chiesa. Si articola su tre registri: in quelli superiori sono raffigurati l’Inferno, il Purgatorio, la Gerusalemme celeste, le punizioni infernali per i Sette vizi capitali e il Limbo; nel registro inferiore invece è rappresentata la cavalcata dei Vizi, conservata solo in parte.

La rappresentazione è particolarmente suggestiva e orrorifica. Nella rappresentazione dell’inferno diavoli orribili letteralmente divorano le anime dei dannati che si disperano tra atroci dolori e sofferenze. Ma è nella raffigurazione delle punizioni dei vizi capitali che il nostro pittore – purtroppo ancora anonimo – si impegna a condannare i dannati a pene atroci. La scena più agghiacciante è quella relativa al vizio dell’Invidia: a un dannato, interamente nudo e inginocchiato a terra, è letteralmente segata in due la testa, tra rivoli di sangue che scendono copiosi. Perché sì, all’Inferno sono punite le anime, ma le torture sono rappresentate come se fossero corporali. E questo era fatto proprio per fare presa sulla fantasia dei fedeli, per convincerli che era bene vivere rettamente per non dover subire tale sorte nell’Aldilà. Anche la scena dedicata all’Ira è particolarmente efficace: gli Irosi sono conficcati dai demoni ai rami di un grande albero.

La costruzione della chiesa risale alla metà del XV secolo e gli affreschi sono successivi di qualche decennio: la loro esecuzione è dunque precedente all’epoca dell’Inquisizione alle “Streghe di Triora”. Non vi è dunque alcuna correlazione tra il tema, così orrorifico, e le vicende successive. E comunque, la scena si completa con il Purgatorio e la Gerusalemme celeste, cioè il Paradiso, come a suggerire che si può aspirare alla santità. Commovente, invece, l’immagine del Limbo, evocata da una grotta in cui stanno tanti bambini ammassati: sono i non battezzati, di cui parla Dante nella Divina Commedia, condannati.
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